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20 juin 2012

LA DEMOCRAZIA IMPERIALE : L'ARTE DELLA GUERRA

L'ARTE DELLA GUERRA

La democrazia imperiale

source : RUBRICA - Manlio Dinucci

obama3

Il giorno dopo che il Parlamento egiziano è stato sciolto dalla Corte costituzionale, di fatto su ordine del Consiglio supremo delle forze armate, è sceso in campo il Dipartimento di stato Usa, garantendo che il Consiglio si è impegnato a trasferire il potere, il 1° luglio, al presidente eletto. Washington assicura che, per tutta la «transizione alla democrazia» in Egitto, è rimasto in stretto contatto con il Consiglio militare supremo. Nessuno ne dubita: l'amministrazione Obama ha deciso tre mesi fa di riprendere il finanziamento delle forze armate egiziane, sospeso dal Congresso quando alcuni impiegati di organizzazioni «non-governative» Usa erano stati arrestati per aver finanziato sottobanco, con milioni di dollari, vari gruppi egiziani nel quadro dei «programmi di addestramento alla democrazia».

Una volta rilasciati, Washington ha sbloccato l'aiuto militare di quest'anno: 1,3 miliardi di dollari, depositati in un conto a firma congiunta, cui si aggiungono 250 milioni per programmi economici e politici in Egitto, più un'altra ingente cifra per programmi segreti. Il risultato si è visto. Forte del sostegno di Washington, il Consiglio militare supremo ha fatto cancellare la legge, varata in maggio dal parlamento, che vietava la candidatura di ex alti funzionari del regime di Mubarak: ha potuto così candidare alle presidenziali il generale Ahmed Shafik, nominato da Mubarak primo ministro poco prima di essere deposto. E, dopo aver fatto sciogliere il parlamento, il Consiglio militare supremo ha promulgato, mentre si tenevano le elezioni, una «costituzione ad interim» che rafforza ulteriormente i suoi poteri, in attesa di quella definitiva redatta da una commissione di un centinaio di membri, nominati dal Consiglio stesso. Così, anche nel caso che si insedi alla presidenza il candidato dei Fratelli musulmani Mohamed Morsi, il potere reale resterà nelle mani del Consiglio supremo.

Quella casta militare finanziata e armata dagli Stati uniti, che durante il regime di Mubarak è stata la vera detentrice del potere. La stessa che il presidente Obama ha presentato quale garante della «ordinata e pacifica transizione», quando Mubarak, dopo essere stato al servizio degli Usa per oltre trent'anni, è stato rovesciato dalla sollevazione popolare. Mentre denunciano «violazioni della democrazia» in Siria e Iran, gli Stati uniti esportano il loro «modello di democrazia» anche in altri paesi del Nordafrica e Medioriente. Nello Yemen, ha ammesso ufficialmente il presidente Obama, forze militari Usa conducono operazioni dirette. Formalmente contro Al Qaeda, in realtà contro la ribellione popolare. E, tramite Arabia saudita e Gran Bretagna, Washington arma il regime yemenita, che riceverà forniture militari per 3,3 miliardi di dollari. Lo stesso fa con la monarchia del Bahrain che, dopo aver ferocemente represso (con l'aiuto di Arabia Saudita, Emirati e Qatar) la lotta popolare per i fondamentali diritti democratici, ha imprigionato e torturato una ventina di medici, accusati di aver aiutato gli insorti, curando i feriti. Premesso che il governo del Bahrain deve «risolvere gravi questioni relative ai diritti umani», Washington annuncia nuove forniture di armi, che verranno usate per reprimere nel sangue la lotta per la democrazia.

L’art de la guerre :

La démocratie impériale


Le 19 juin 2012


Le lendemain du jour où le Parlement égyptien a été dissous par la

Cour Constitutionnelle, de fait sur ordre du Conseil suprême des

forces armées, le Département d’état étasunien est entré en lice,

garantissant que le Conseil s’est engagé à transférer le pouvoir,

le 1er juillet, au président élu. Washington assure que, pendant

toute la « transition à la démocratie » en Egypte, il est resté

en contact étroit avec le Conseil militaire suprême. Personne n’en

doute : l’administration Obama a décidé il y a trois mois de

reprendre le financement des forces armées égyptiennes,

suspendu par le Congrès quand certains employés

d’organisations non-gouvernementales étasuniennes avaient

été arrêtés pour avoir financé en sous-main, avec des millions

de dollars, divers groupes égyptiens dans le cadre des

« programmes d’entraînement à la démocratie ». Une fois

relâchés, Washington a débloqué l’aide militaire de cette

année : 1,3 milliards de dollars, déposés sur un compte à

signature conjointe, auxquels s’ajoutent 250 millions

pour des programmes économiques et politiques en

Egypte, plus un autre chiffre important pour des programmes

secrets.

On a vu le résultat. Fort du soutien de Washington, le Conseil

militaire suprême a fait effacer la loi, promulguée en mai au

parlement, qui interdisait la candidature d’ex hauts

fonctionnaires du régime Moubarak : c’est ainsi qu’a pu se

porter candidat aux présidentielles le général

Ahmed Chafik, nommé premier ministre par Moubarak peu

de temps avant d’être déposé. Et, après avoir fait

dissoudre le parlement, le Conseil militaire suprême a

promulgué, pendant que les élections se tenaient, une

« constitution ad interim » qui renforce ultérieurement

ses pouvoirs, en attendant la constitution définitive rédigée

par une commission d’une centaine de membres, nommés

par le Conseil lui-même.

Ainsi, même dans le cas où s’installerait à la présidence le

candidat des Frères Musulmans Mohamed Morsi, le pouvoir

réel restera dans les mains du Conseil suprême.

C’est-à-dire de cette caste militaire financée et armée par

les Etats-Unis, qui durant le régime de Moubarak a été

la véritable détentrice du pouvoir. Cette même caste que

le président Obama a présentée comme garant de la

« transition ordonnée et pacifique », quand Moubarak,

après avoir été au service des USA pendant plus de trente

ans, a été renversé par le soulèvement populaire.

 

obama3

 

Tandis qu’ils dénoncent des « violations de la démocratie » en

Syrie et en Iran, les Etats-Unis exportent leur « modèle de

démocratie » même dans d’autres pays d’Afrique du Nord

et du Moyen-Orient. Au Yémen, le président Obama a admis

officiellement que des forces militaires étasuniennes mènent

des opérations directes. Formellement contre Al Qaeda, en

réalité contre la rébellion populaire. Et, par l’intermédiaire

de l’Arabie saoudite et de la Grande-Bretagne, Washington

arme le régime yéménite, qui recevra des fournitures

militaires pour 3,3 milliards de dollars. Washington fait la

même chose avec la monarchie du Bahreïn qui, après

avoir férocement réprimé (avec l’aide de l’Arabie saoudite,

des Emirats et du Qatar) la lutte populaire pour les

droits démocratiques fondamentaux, a emprisonné et

torturé une vingtaine de médecins, accusés d’avoir aidé

les insurgés, en soignant les blessés. Etant donné que le

gouvernement du Bahreïn doit « résoudre de graves

questions relatives aux droits humains », Washington

annonce de nouvelles fournitures d’armes, qui seront

utilisées pour réprimer dans le sang la lutte pour la démocratie.

 

SOURCE : Edition de mardi 19 juin 2012 de il manifesto

http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/in-edicola/manip2n1/20120619/manip2pg/14/manip2pz/324523/


Traduit de l’italien par Marie-Ange Patrizio

Source : Manlio Dinucci est géographe et journaliste au quotidien italien il manifesto.


 

L'ARTE DELLA GUERRA

 

Droni sicari per la kill list

 

RUBRICA - Manlio Dinucci

 

drome armé prédator reaper

Gli Stati uniti devono difendersi da coloro che li attaccano, dichiara il segretario alla difesa Leon Panetta, respingendo le proteste sui crescenti attacchi di droni Usa in Pakistan. Secondo Panetta, i pachistani devono capire che i «Predatori» sono lì anche per il loro bene: volteggiano sulle loro teste, teleguidati dagli Stati uniti a oltre 10mila km di distanza, per colpire con i missili «Fuoco dell'inferno» i pericolosi terroristi annidati in territorio pachistano. Conclusioni opposte trae, dopo una visita in Pakistan, Navi Pillay, Alto commissario Onu per i diritti umani: gli attacchi con i droni, che avvengono in media ogni quattro giorni, «provocano uccisioni indiscriminate di civili, che costituiscono una violazione dei diritti umani». Sollevano inoltre gravi questioni di diritto internazionale, in quanto sono condotti «al di fuori di qualsiasi meccanismo di controllo civile o militare». La Pillay chiede quindi l'apertura di un'inchiesta ufficiale. Accusa seccamente respinta dal presidente Obama, il quale assicura che gli attacchi con i droni - effettuati anche in Afghanistan, Iraq, Yemen, Somalia e altri paesi - «non provocano grosse perdite civili». Vengono infatti «mantenuti sotto strettissimo controllo». Nessuno ne dubita.

Come documenta il New York Times, è lo stesso Presidente che effettua le «nomination top secret» dei presunti terroristi da uccidere, per la maggior parte con attacchi dei droni. La «kill list» - comprendente persone di tutto il mondo che, giudicate nocive per gli Stati uniti e i loro interessi, sono condannate segretamente a morte con l'accusa di terrorismo - viene aggiornata ogni settimana attraverso «il più strano dei rituali burocratici»: la teleconferenza, gestita dal Pentagono, di oltre cento responsabili della «sicurezza nazionale», i quali tolgono le schede degli uccisi e ne aggiungono altre in una sorta di macabro gioco che un funzionario paragona a quello delle figurine dei campioni di baseball. La lista viene quindi sottoposta al Presidente per l'approvazione. Soprattutto quando «insieme al terrorista, che verrà colpito dal drone, c'è la famiglia», spetta al Presidente «la valutazione morale finale».

obama1

Giunto il nullaosta del Presidente, l'operatore, comodamente seduto alla consolle di comando del drone negli Stati uniti, lancia i missili contro quella casa in Pakistan indicata come rifugio del terrorista. Tanto, nell'esplosione, i bambini non si vedono. È questa la «guerra non-convenzionale» condotta dall'amministrazione Obama. Per essa vengono sviluppati droni sempre più sofisticati: come uno a propulsione nucleare, in grado di volare ininterrottamente per mesi, e un piccolo «drone kamikaze» che piomba sull'obiettivo distruggendolo con la sua carica esplosiva. Affari d'oro per le industrie costruttrici (General Atomics, Northrop Grumman e altre): il Pentagono ha deciso di aumentare del 30% la sua attuale flotta di 7.500 droni, spendendo 32 miliardi di dollari. L'Italia parteciperà alla spesa di 4 miliardi di dollari per cinque droni made in Usa, dislocati dalla Nato a Sigonella, e acquisterà missili e bombe di precisione per i propri droni, anch'essi made in Usa. Ciò, sottolinea il Pentagono, servirà a «proteggere» non solo l'Italia ma anche gli Stati uniti. A quando la kill list italiana?

 


 

L’art de la guerre :

Drones sicaires pour la kill list

Le 13 juin 2012

- a leon panetta


Les Etats-Unis doivent se défendre de ceux qui les attaquent, déclare le secrétaire à la défense Leon Panetta, rejetant les protestations sur les attaques croissantes de drones étasuniens au Pakistan. Selon Panetta, les Pakistanais doivent comprendre que les « Predators » sont là aussi pour leur bien : ils volent au dessus de leurs têtes, téléguidés depuis les Usa à plus de 10mille kilomètres de distance, pour frapper avec leurs missiles « Feu de l’enfer » les dangereux terroristes nichés en territoire pakistanais. Conclusion opposée, après une visite au Pakistan, de Navi Pillay, Haut Commissaire Onu pour les droits de l’homme : les attaques par drones, qui ont lieu en moyenne tous les quatre jours, « provoquent les morts indiscriminées de civils, qui constituent une violation des droits humains ». Elles soulèvent en outre de graves questions de droit international, en ceci qu’elles sont menées « en dehors de tout mécanisme de contrôle civil ou militaire ». Pillay demande donc l’ouverture d’une enquête officielle. Accusation sèchement rejetée par le président Obama, lequel assure que les attaques par drones –effectuées aussi en Afghanistan, Irak, Yémen, Somalie et autres pays- « ne provoquent pas de grosses pertes civiles ».  Elles sont en fait « tenues sous contrôle très étroit ». Personne n’en doute.

drome armé prédator reaper



Comme le  rapporte le New York Times, c’est le Président lui-même qui effectue les « nomination top secret » des présumés terroristes à tuer, pour la majeure partie avec des attaques de drones. La « kill list »  -comprenant des personnes du monde entier qui, jugées nocives pour les Etats-Unis et leurs intérêts, sont condamnées secrètement à mort sous l’accusation de terrorisme- est mise à jour chaque semaine par « le plus étrange des rituels bureaucratiques » : la téléconférence, gérée par le Pentagone, de plus de cent responsables de la « sécurité nationale », lesquels retirent les fiches des tués et en ajoutent d’autres dans une sorte de jeu macabre qu’un fonctionnaire compare à celui des figurines des champions de base-ball. La liste est ensuite soumise au président pour approbation. Surtout quand « en même temps que le terroriste, qui sera touché par le drone, il y aura sa famille », « l’évaluation morale finale » revient au Président. Quand celui-ci a donné son autorisation, l’opérateur, commodément installé aux Etats-Unis à sa console de commande du drone, lance les missiles contre cette maison au Pakistan, indiquée comme refuge du terroriste. De toutes façons, dans l’explosion, les enfants ne se voient pas. Voici ce qu’est la « guerre non conventionnelle » menée par l’administration Obama. On développe pour elle des drones de plus en plus sophistiqués : comme celui à propulsion nucléaire, en mesure de voler de façon ininterrompue pendant des mois, et un petit « drone kamikaze » qui plombe sur l’objectif en le détruisant avec sa charge explosive. Des affaires en or pour les industries constructrices (General Atomics, Northrop Grumman et autres) : le Pentagone a décidé d’augmenter de 30% sa flotte actuelle de 7.500 drones, en dépensant 32 milliards de dollars. L’Italie participera à la dépense de 4 milliards de dollars pour cinq drones made in Usa, déployés par l’Otan à Sigonella (Sicile), et achètera des missiles et des bombes de précision pour ses propres drones, eux aussi made in Usa. Cela, souligne le Pentagone, servira à « protéger » non seulement l’Italie mais aussi les Etats-Unis.

À quand la « kill list » italienne ?

 

«Désolée, Vous êtes sur la «kill list»



Edition de mardi 12 juin 2012 de il manifesto
http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/in-edicola/manip2n1/20120612/manip2pg/14/manip2pz/324167/

Traduit de l’italien par Marie-Ange Patrizio

Italy-FlagUS-FLag

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