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6 octobre 2011

RITORNO A "TRIPOLI, BEL SUOL D'AMORE ..."

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09 INTERNAZIONALE
2011.10.05

APERTURA di Manlio Dinucci
Le due guerre
Ritorno a «Tripoli, bel suol d'amore...»

http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/in-edicola/manip2n1/20111005/manip2pg/09/manip2pz/311068/


Prisonniers_lybiens-a6b69-55a02Il 5 ottobre di 100 anni fa iniziava l'occupazione coloniale della Libia da parte dell'Italia. In un secolo molto è cambiato, ma i meccanismi della conquista restano gli stessi Sete di profitti, intenti «umanitari» e «civilizzatori», uno schiacciante dominio militare... Di nuovo oggi c'è che lo «scatolone di sabbia» è ancora più cruciale. E che la «sinistra» plaude.

Il 5 ottobre 1911, dopo due giorni di bombardamento navale, il primo contingente italiano sbarcò a Tripoli, iniziando l'occupazione coloniale della Libia che, proseguita e rafforzata dal fascismo, sarebbe durata trent'anni. È una pagina storica definitivamente chiusa? Non c'è quindi alcuna analogia tra la prima guerra di Libia e quella attuale? Certo, in un secolo molte cose sono cambiate. Ma i meccanismi della guerra sono rimasti sostanzialmente gli stessi.

Gli interessi dell'espansionismo Agli inizi del Novecento l'Italia, restata dopo la sconfitta di Adua (1896) una potenza coloniale di secondo piano con i possedimenti di Eritrea e Somalia, rilanciò la sua politica espansionista: obiettivo la conquista della Libia, parte dell'impero ottomano che si stava sgretolando. A spingere in questa direzione erano i circoli dominanti finanziari, industriali e agrari, che volevano penetrare in Nord Africa, e i fabbricanti di cannoni, che volevano una guerra per accrescere i loro profitti. La conquista iniziò con una aggressiva strategia economica, attuata dal governo attraverso il Banco di Roma, potente istituto finanziario legato ad ambienti vaticani e cattolici. Con grossi capitali e forti contributi governativi, esso cominciò nel 1907 a penetrare in Libia, aprendo succursali, banchi di pegno e agenzie commerciali. Mise le mani anche sull'agricoltura, acquistando terreni, impiantando una grande azienda presso Bengasi e un enorme mulino a Tripoli, e promosse ricerche minerarie. In tre anni realizzò un giro d'affari di oltre 240 milioni di lire. Ciò suscitò la crescente ostilità delle autorità turche. L'Italia rispose dichiarando guerra alla Turchia, nonostante la sua ampia disponibilità a fare concessioni.

Oggi, per le élite economiche e finanziarie europee e statunitensi, la Libia è ancora più importante. Nello «scatolone di sabbia» vi sono le maggiori riserve petrolifere dell'Africa, preziose per l'alta qualità e il basso costo di estrazione, e grosse riserve di gas naturale; vi è l'immensa riserva di acqua della falda nubiana, in prospettiva più preziosa del petrolio. E la Libia è il paese che ha raggiunto in Africa il più alto livello di sviluppo economico, che ha grossi capitali investiti in molti paesi.
Sulle sue risorse misero le mani soprattutto Gran Bretagna e Stati uniti, quando il paese ottenne l'indipendenza nel 1951 ma restò dipendente dal colonialismo che aveva assunto nuove forme. Condizione che terminò quando, nel 1969, gli «ufficiali liberi» di Muammar Gheddafi abolirono la monarchia di re Idris, strumento del dominio neocoloniale, e fondarono la repubblica, nazionalizzando le proprietà della British Petroleum e costringendo le compagnie petrolifere a versare allo stato libico quote molto più alte dei profitti. Ora, con la guerra, viene rimesso tutto in gioco.

Il delirio dell'opinione pubblica.

Un secolo fa, la guerra per l'occupazione della Libia fu preparata e accompagnata da una martellante propaganda, condotta da quasi tutti i maggiori quotidiani, soprattutto quelli cattolici legati al Banco di Roma. Si diffuse un vero e proprio delirio: nei café-chantant si cantava «Tripoli, bel suol d'amore ti giunga dolce questa mia canzone, sventoli il tricolor sulle tue torri al rombo del cannone». Motivo conduttore era che l'Italia, nazione civile, doveva liberare la Libia dal barbaro dominio turco, aprendo la strada al suo sviluppo politico ed economico. In realtà i libici avevano già conquistato molti diritti politici, che gli italiani abolirono quando occuparono il paese.
Il Partito socialista, sopravvalutando la propria forza e non credendo Giolitti capace di gettare l'Italia in una avventura coloniale, rimase sostanzialmente immobile. Solo all'ultimo, sotto pressione dei circoli operai e giovanili, la direzione del Psi proclamò uno sciopero generale il 27 settembre 1911, raccomandando però che fosse «dignitoso e composto». In realtà, già da tempo noti esponenti socialisti erano divenuti sostenitori del colonialismo. «Col mio socialismo - scriveva Giovanni Pascoli - non contrasta l'aspirazione dell'espansione coloniale». E, iniziata la guerra per la conquista della Libia, annunciava che «la grande proletaria si è mossa» per dare lavoro ai suoi figli, per «contribuire all'umanamento e incivilimento dei popoli».

Una enunciazione ante litteram del concetto di «guerra umanitaria», che oggi è alla base della martellante propaganda mediatica a sostegno dell'attacco alla Libia. La motivazione è ancora quella di liberare il popolo libico, in questo caso non dal barbaro dominio turco ma da quello del dittatore Gheddafi, per aprirgli la strada allo sviluppo politico ed economico con il contributo del lavoro italiano.

E oggi, molto più che nel 1911, c'è una «sinistra» che appoggia la guerra. Con un segretario del Pd che sostiene: «L'articolo 11 della Costituzione ripudia la guerra come soluzione delle controversie internazionali, ma non certamente l'uso della forza per ragioni di giustizia».

L'attacco e la resistenza

La guerra del 1911 fu a lungo preparata, infiltrando agenti segreti in Libia con un duplice compito: raccogliere informazioni militari e reclutare capi arabi disponibili a collaborare. Deciso l'attacco, l'Italia usò la sua schiacciante superiorità militare: oltre 20 corazzate e altre navi da guerra bombardarono Tripoli senza subire alcun danno, dato che i loro cannoni avevano una gittata molto maggiore di quella dei vecchi cannoni a difesa della città. Fu usata anche l'aeronautica, che il 1° novembre in Libia effettuò il primo bombardamento della storia. Ma subito dopo l'inizio dello sbarco del corpo di spedizione, forte di 100mila uomini, scoppiò la rivolta popolare, e diversi soldati italiani furono massacrati. Gli italiani scatenerano una vera e propria caccia all'arabo: in tre giorni ne furono fucilati o impiccati circa 4.500, tra cui 400 donne e molti ragazzi. Migliaia furono deportati a Ustica e in altre isole, dove morirono quasi tutti di stenti e malattie.

Iniziava così la storia della resistenza libica. Nel 1930, per ordine di MUSSOLINI à TRIPOLI 1926Mussolini, vennero deportati dall'altopiano cirenaico circa 100mila abitanti, che furono rinchiusi in una quindicina di campi di concentramento lungo la costa. Per sterminare le popolazioni ribelli, furono impiegate dall'aeronautica anche bombe all'iprite, proibite dal recente Protocollo di Ginevra del 1925. La Libia fu per l'aeronautica di Mussolini ciò che Guernica fu in Spagna per la luftwaffe di Hitler: il terreno di prova delle armi e tecniche di guerra più micidiali. Nel 1931, per isolare i partigiani guidati da Omar al-Mukhtar, fu fatto costruire dal generale Graziani, sul confine tra Cirenaica ed Egitto, un reticolato di filo spinato largo alcuni metri e lungo 270 km, sorvegliato da aeroplani e pattuglie motorizzate. Omar al-Mukhtar venne catturato e impiccato il 16 settembre 1931, all'età di oltre 70 anni, nel campo di concentramento di Soluch, di fronte a ventimila internati.

Significative analogie si ritrovano nella guerra attuale. Anche questa è iniziata con l'infiltrazione di agenti segreti e il reclutamento di capi arabi disponibili a collaborare. Anche questa viene condotta con una schiacciante superiorità militare: le forze aeree Usa/Nato, di cui fanno parte quelle italiane, hanno effettuato dal 19 marzo oltre 10mila missioni di attacco, sganciando circa 40mila bombe, distruggendo oltre 5mila obiettivi senza subire alcuna perdita. E scopo della guerra resta quello di occupare un paese la cui posizione geostrategica, all'intersezione tra Mediterraneo, Africa e Medio Oriente, è di primaria importanza. Oggi soprattutto per Stati uniti, Francia e Gran Bretagna, che con la fine della monarchia di re Idris persero le basi militari che gli aveva concesso in Libia e che ora cercano di riavere. Resta però ancora da vedere quale sarà la reazione del popolo libico a quella che si prospetta come una nuova occupazione in forme neocoloniali.

Chissà se il presidente Napolitano - convinto che l'Italia, oggi fermo presidio della pace, si è lasciata alle spalle gli anni bui del bellicismo fascista - celebrerà, dopo il 150° dell'unità nazionale, anche il centenario della prima guerra di Libia. Per capire non tanto che cosa fosse l'Italia allora, ma che cosa sia oggi.

A cent ans de la première guerre de Libye :
Retour à « Tripoli, bel suol d’amor »

Le 5 octobre 2011

 

Le 5 octobre 1911, après deux jours de bombardement naval, le premier contingent italien débarqua à Tripoli, commençant l’occupation coloniale de la Libye qui, poursuivie et renforcée par le fascisme, allait durer trente ans. Est-ce une page historique définitivement tournée ? N’y a-t-il donc aucune analogie entre la première guerre de Libye et l’actuelle ? Certes, en un siècle beaucoup de choses ont changé. Mais les mécanismes de la guerre sont restés en substance les mêmes.


Les intérêts derrière la guerre

Au début du 20ème siècle l’Italie, demeurée après la défaite d’Adua (1896) puissance coloniale de second plan avec les possessions d’Erythrée et de Somalie, relança sa politique expansionniste : l’objectif était la conquête de la Libye, qui faisait partie de l’Empire ottoman en train de s’effriter. Ceux qui poussaient vers cette direction étaient les cercles dominants financiers, industriels et agraires, qui voulaient pénétrer en Afrique du Nord, et les fabricants de canon qui voulaient une guerre pour augmenter leurs profits. La conquête débuta avec une stratégie économique agressive, opérée par le gouvernement à travers le Banco di Roma, puissant institut financier lié aux milieux du Vatican et catholiques. Avec de gros capitaux et de fortes contributions gouvernementales, il commença en 1907 à pénétrer en Libye, en ouvrant des succursales, des banques de gage et des agences commerciales. Il mit la main aussi sur l’agriculture, en achetant des terrains, en implantant un gros établissement agricole et d’élevage près de Benghazi et un énorme moulin à Tripoli, et promut des recherches minières. En trois années il réalisa un train d’affaires de plus de 240 millions de lires. Cela suscita l’hostilité croissante des autorités turques. L’Italie répondit en déclarant la guerre à la Turquie, malgré l’ample disponibilité de celle-ci à faire des concessions.

Aujourd’hui, pour les élites économiques et financières européennes et étasuniennes, la Libye est encore plus importante. Dans le « gros tas de sable » se trouvent les plus grandes réserves pétrolières d’Afrique, précieuses pour leur haute qualité et leur bas coût d’extraction, et de grosses réserves de gaz naturel ; et il y a l’immense réserve d’eau de la nappe nubienne, en perspective plus précieuse que le pétrole. Et la Libye est le pays qui a atteint en Afrique le plus haut niveau de développement économique, qui a de gros capitaux investis dans de nombreux pays. Sur ces ressources, ce sont surtout la Grande Bretagne et les Etats-Unis qui mirent la main quand le pays obtint son indépendance en 1951 mais resta dépendant du colonialisme qui avait pris de nouvelles formes. Condition qui se termina quand, en 1969, les « officiers libres » de Muammar Kadhafi abolirent la monarchie du roi Idris, instrument de domination néocoloniale, et fondèrent la république, nationalisant les propriétés de la British Petroleum et obligeant les compagnies pétrolières à verser à l’Etat libyen des quotas beaucoup plus élevés de leurs profits. A présent, avec la guerre, tout est remis en question.

La préparation de l’opinion publique

Il y a un siècle, la guerre pour l’occupation de la Libye fut préparée et accompagnée par une propagande martelée, conduite par quasiment tous les plus grands quotidiens, surtout ceux catholiques liés au Banco di Roma. Un véritable délire se propagea : dans les cafés-chantants on fredonnait « Tripoli, belle terre d’amour, qu’arrive à toi ma chanson ! Que flotte le Drapeau tricolore sur tes tours au grondement du canon ! Navigue, ô cuirassé : propice est le vent et douce la saison. Tripoli, terre enchantée, tu seras italienne au grondement du canon ! » .

La motivation conductrice était que l’Italie, nation civilisée, devait libérer la Libye de la barbare domination turque, ouvrant la voie à son développement politique et économique. En réalité les Libyens avaient déjà conquis de nombreux droits politiques, que les Italiens abolirent quand ils occupèrent le pays. Le Parti socialiste, surévaluant sa propre force et ne croyant pas Giolitti (premier ministre libéral, NdT) capable de jeter l’Italie dans une aventure coloniale, resta substantiellement immobile. Au dernier moment seulement, sous la pression des cercles ouvriers et de jeunesse, la direction du Psi proclama une grève générale le 27 septembre 1911. Tout en recommandant cependant qu’elle fût « digne et posée ». En réalité, depuis longtemps déjà, de notoires représentants socialistes étaient devenus des soutiens du colonialisme. Giovanni Pascoli (célèbre poète de la fin du 19ème et début du 20ème siècle, NdT) écrivait : « L’aspiration de l’expansion coloniale ne contraste pas avec mon socialisme ». Et, la guerre pour la conquête de la Libye étant commencée, il annonçait : « la grande prolétaire s’est mise en marche » pour donner du travail à ses enfants, pour « contribuer à l’humanisation et à la civilisation des peuples ».

Une énonciation avant la lettre du concept de « guerre humanitaire », qui est aujourd’hui à la base du martèlement de propagande médiatique en faveur de l’attaque contre la Libye. La motivation est encore celle de libérer le peuple libyen, dans ce cas non pas de la barbare domination turque mais de celle du dictateur Kadhafi, pour lui ouvrir la voie vers le développement politique et économique avec la contribution du travail italien. Et aujourd’hui bien plus qu’en 1911, on a une « gauche » qui appuie la guerre. Et un secrétaire du Pd (Partito democratico) qui affirme : « L’article 11 de la Constitution répudie la guerre comme solution des controverses internationales, mais certes pas l’usage de la force pour des raisons de justice » .

L’attaque et la résistance

La guerre de 1911 fut longuement préparée, en infiltrant des agents secrets en Libye avec une double mission : recueillir des informations militaires et recruter des chefs arabes disponibles pour collaborer. L’attaque décidée, l’Italie utilisa son écrasante suprématie militaire : plus de 20 cuirassés et autres navires de guerre bombardèrent Tripoli sans subir aucun dommage, puisque leurs canons avaient une portée beaucoup plus grande que celle des vieux canons de défense de la ville. On utilisa aussi l’aéronautique, qui le 1er novembre effectua en Libye le premier bombardement de l’histoire. Mais immédiatement après le début du débarquement du corps d’armée expéditionnaire, fort de 100mille hommes, éclata une révolte populaire et plusieurs soldats italiens furent massacrés. Les Italiens déchaînèrent une véritable chasse à l’arabe : en trois jours environ 4.500 furent fusillés ou pendus, dont 400 femmes et de nombreux enfants. Des milliers furent déportés à Ustica et dans d’autres îles, où quasiment tous moururent d’épuisement ou de maladies. Ainsi commençait l’histoire de la résistance libyenne.

En 1930, sur l’ordre de Mussolini, furent déportés du haut-plateau de Cyrénaïque environ 100mille habitants, qui furent enfermés dans une quinzaine de camps de concentration le long de la côte. Pour exterminer les populations rebelles, l’aéronautique utilisa aussi des bombes à l’ypérite, interdites par le récent Protocole de Genève de 1925. La Libye fut pour l’aéronautique de Mussolini ce que Guernica fut en Espagne pour la luftwaffe de Hitler : le terrain d’expérimentation des armes et techniques de guerre les plus meurtrières. En 1931, pour isoler les partisans conduits par Omar al-Mukhtar, on fit construire par le général Graziani, sur la frontière entre Cyrénaïque et Egypte, une barrière de fil de fer barbelé large de plusieurs mètres et longue de 270 Kms, surveillée par des aéroplanes et par des patrouilles motorisées. Omar al-Mukhtar fut capturé et pendu le 16 septembre 1931, à plus de 70 ans, dans le camp de concentration de Soluch, devant vingt mille prisonniers.

On retrouve de significatives analogies dans la guerre actuelle. Celle-ci aussi a commencé par l’infiltration d’agents secrets et le recrutement de chefs arabes disponibles à collaborer. Cette guerre aussi est conduite avec une écrasante supériorité militaire : les forces aériennes USA/OTAN, dont font partie les forces italiennes, ont effectué depuis le 19 mars plus de 10mille missions d’attaque, larguant environ 40mille bombes, détruisant plus de 5mille objectifs sans subir aucune perte. Et l’objectif de la guerre demeure celui d’occuper un pays dont la position géostratégique, à l’intersection entre Méditerranée, Afrique et Moyen-Orient, est de première importance. Aujourd’hui, surtout, pour les Etats-Unis, la France et la Grande-Bretagne, qui avec la fin de la monarchie du roi Idris perdirent les bases militaires que celui-ci avait concédées à la Libye et qu’ils cherchent maintenant à retrouver. Reste cependant à voir quelle sera la réaction du peuple libyen à ce qui se profile comme une nouvelle occupation d’allures néocoloniales.

Qui sait si le président Napolitano -persuadé que l’Italie, aujourd’hui ferme gardienne de la paix, a laissé derrière elle les sombres années du bellicisme fasciste- célèbrera aussi, après le 150ème anniversaire de l’unité nationale, le centenaire de la première guerre de Libye. Pour comprendre non pas tant ce que fut alors l’Italie mais ce qu’elle est aujourd’hui.

 SOURCE : IL MANIFESTO

Edition de mercredi 5 octobre 2011 de il manifesto
http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/in-edicola/manip2n1/20111005/manip2pg/09/manip2pz/311068/

Traduit de l’italien par Marie-Ange Patrizio

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